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Image by Elena Joland

IL MIO INTERVENTO AL VI CONGRESSO DELLA SCUOLA DELL'ACCADEMIA DI PSICOTERAPIA PSICOANALITICA (SAPP) "L'IDENTITÀ NARCISISTA TRA CEMENTIFICAZIONE E DISSOLVENZA IN TEMPI DI PANDEMIA"

3 Dicembre 2020

Una pandemia designa la propagazione di una determinata malattia infettiva in molti paesi o continenti e può minacciare gran parte della popolazione mondiale. La definizione ufficiale di pandemia, non che la sua ufficializzazione da parte dell’OMS, dipendono da tre condizioni in particolare: 

  1. Comparsa di un nuovo agente patogeno;

  2. Attitudine di tale agente a colpire gli umani;

  3. Efficacia di tale agente nel diffondersi per contagio;

La pandemia da Covid-19 ha posto gli esseri umani di fronte ad una questione di cui difficilmente e dolorosamente si prende consapevolezza: il fatto di essere mortali.

Ha ricordato al mondo intero quanto sia vera la frase “siamo tutti uguali di fronte alla morte” e come numerosi anni di studio avanzato dietro al progresso tecnologico-scientifico siano stati ridotti ad un nonnulla di fronte al comportamento inaspettato di un nuovo virus. 

La società che oggi si trova a dover affrontare il drammatico periodo del Covid-19, si districa in modo complesso fra entrambi gli atteggiamenti sopra citati. Per cui notiamo individui barricati in casa (confort zone) sopraffatti dalla paura dell’altro come “diverso” e\o portatore di malattia e morte, e individui che sviluppano un bisogno incontrollabile di autoaffermazione individuale e di libertà, basti notare come intorno alla seconda settimana di marzo 2019, in Italia siano state registrate 51.000 denunce di persone per mancato rispetto dell’ordine delle autorità (ovvero l’essere usciti senza un motivo valido).

La subdola sofferenza che ogni individuo ha sviluppato restando chiuso in casa è ben spiegata da uno dei saggi che Freud scrisse nella rivista Imago del 1919, ovvero “Il perturbante”. È forse questo il sentimento con cui l’uomo relegato in casa ha dovuto fare i conti: la paura ed il terrore nei confronti di qualcosa che è familiare, ma che è sempre stato nascosto. La casa, luogo confortevole per eccellenza, è anche il posto dove si annida, seppellito da strati di polvere o sul fondo di un vecchio cassetto, il rimosso. Come se lo stare in quella che non solo figurativamente ma anche letteralmente è la casa, determinasse una rivelazione di contenuti sempre presenti e familiari ma che mai prima erano stati svelati. Ognuno privatamente ed in solitudine, messo di fronte a contenuti profondamente intimi e nascosti subisce il terrore di una rivelazione di un qualcosa che da sempre era tenuto celato.


Il principale meccanismo di difesa che è stato agito in risposta alla nuova emergenza sanitaria, è stato il diniego: “se non riconosco la presenza di una cosa, questa cosa non esiste”. Alla base di questo comportamento vi è una grandissima angoscia dovuta alla percezione dell’impotenza dell'individuo. 

L’imminenza della pandemia ha poi spinto le persone a sviluppare, dopo un’iniziale negazione, sentimenti di paura i quali possono oscillare fino a diventare angoscia e raggiungere il picco del panico.


Le nuove disposizioni generali sviluppate affinché fossero contenuti i contagi hanno impedito alcuni dei rituali condivisi, primo fra tutti quello del funerale. Questa necessità ha destabilizzato il singolo e l’intera comunità, basti pensare a quanto sia importante l’espressione e la comunicazione del dolore per poter cominciare ad elaborare un lutto. 

“Viene a mancare la dimensione pubblica dell'accettazione della morte e si è costretti a una elaborazione privata del dolore, che è un'operazione più faticosa e non sempre sufficiente”.

Se da un lato la pandemia ha costretto le persone a vivere privatamente i propri dolori come nel caso del lutto, dall’altro lato ha fatto in modo che venisse riconsiderata l’appartenenza ad una società, quindi il sentirsi parte di un gruppo. Da qui osserviamo la messa in atto di comportamenti che hanno potuto sostituire l’abitudine ai riti condivisi (flashmob sui balconi, aperitivi o cene su skype).

Ogni singola persona, inoltre, si è spostata da una dimensione individualizzata, verso una socializzata, l’importanza del gruppo ha iniziato a prendere piede e i comportamenti del singolo portavano con sé l’intenzione di salvaguardare l’intera comunità. 

In realtà fin dal principio della pandemia è stata chiara una distinzione etnica, soprattutto nell’accusare il popolo cinese di aver dato il via alla malattia.

Un episodio simile fu riscontrato anche nel caso dell’Influenza Spagnola, da cui solo osservando il nome è possibile aver chiaro il fenomeno. L’influenza Spagnola infatti non era attribuibile alla Spagna in termini di insorgenza, essa semplicemente era l’unico paese in cui fosse possibile parlarne, al contrario degli altri, in cui il periodo di guerra impediva la libertà di espressione e con essa di comunicazione (Alessandro Barbero “Epidemie tra passato e presente (4-4-2020)”, D. Zanichelli; R. Raduzzi, 2020).

Probabilmente un comportamento di questo tipo è spiegabile con il bisogno di voler individuare una categoria di responsabili affinché sia possibile rivolgere i propri sentimenti misti di terrore, rabbia e odio, verso un oggetto concretamente definibile. 


È possibile considerare l’identità come un meccanismo che consente alle persone di percepirsi coerenti a sé stesse. Un concetto fondamentale che riguarda l’identità è il ruolo del gruppo in cui il singolo si identifica. L’identità fa così riferimento alla capacità di far coesistere contemporaneamente nell’individuo, due sentimenti contrastanti: Il senso della propria unicità e il senso di appartenenza al gruppo (Simmel, 2015). 

Nel momento in cui nella comunità avviene anche il più piccolo cambiamento, ne risente inevitabilmente l’identità del singolo, per questo motivo durante il periodo pandemico è stato possibile assistere a cambiamenti individuali nell’identità delle persone. 

Da un recente articolo pubblicato sul Jama Internal Medicine, è stato possibile osservare come le conseguenze psicologiche dovute alla pandemia da Covid-19 siano simili alle conseguenze traumatiche dovute ad episodi paragonabili come disastri naturali, epidemie, attentati. Quello che distingue l’attuale pandemia dai precedenti “disastri” è che oltre alle conseguenze di natura medico-organica e di mortalità, vi è stata anche una conseguenza psicologica dovuta non solo alla conseguenza della perdita di persone care, ma anche alla tipologia di precauzioni di distanziamento sociale a cui ci si è dovuti attenere. 

Basti pensare all’aumento di depressione, all’insorgenza del disturbo post traumatico da stress, all’aumento di abuso di sostanze e violenze domestiche come alcune delle conseguenze psicologiche; Attualmente le conseguenze psicologiche da covid19 sono le stesse, e non vanno ad intaccare solamente i diretti interessati fra cui gli infettati, i parenti delle vittime, i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, ma anche tutto il resto della popolazione che risente degli effetti dell’interruzione di attività quotidiane e dell’improvviso ritrovarsi nella solitudine.

Così fra coloro che precedentemente alla pandemia, erano costretti a confrontarsi quotidianamente con stati di sofferenza interiore fra cui attacchi di panico, è stato possibile osservare un acuirsi dei sintomi. Inoltre l’atmosfera di contagio, infezione e purificazione respirata costantemente, mischiata ad un terrore dell’ignoto ed alla paura della morte, ha spinto le persone a mettere in atto meccanismi compulsivi di lavaggio portando all’estremo i comportamenti dettati dalle figure mediche sanitarie. Basti pensare alla popolarità assunta dall’amuchina, il cui uso sta diventando sempre più spropositato, notiamo così l’alimentarsi di moltissime fobie, prima fra tutte l’ipocondria.

Rispetto alle misure restrittive delle quarantene, sono stati individuati effetti psicologici negativi quali: aumento dei suicidi (Barbisch, 2015), aumento di manifestazioni di rabbia o di cause legali, presenza nella popolazione di sintomi depressivi e sintomi da disturbo da stress post-traumatico acuto (Brooks, 2020), comportamenti da evitamento (verso persone con sintomi o luoghi pubblici) e/o comportamenti iperprotettivi. 

Il termine pandemia proviene dal greco pan-demos e significa "tutto il popolo". Peculiarità madre di questo fenomeno è, dunque, quella di "toccare" tutto il popolo, chiunque può essere contagiato, non esistono distinzioni riguardanti ceto sociale, area geografica e colore della pelle; una pandemia colpisce tutti in modo ed intensità diverse, alcuni possono "salvarsi" da questo contagio ma altri ne verranno colpiti inevitabilmente. La natura ineluttabile e vulnerabile dell'amore fa sì che questo nel tempo e nello spazio possa rappresentare il sentimento pandemico per eccellenza, chiunque può essere "contagiato" dall'amore e chiunque dinanzi ad esso può sentirsi vulnerabile. Chiunque ha anche la possibilità di decidere di trincerarsi in un'eterna quarantena per difendersi da tutti gli aspetti deliranti e psicogeni che ci rendono fragili dinanzi all'amore. Freud stesso, definisce le infatuazioni amorose come un processo derivante dalla tendenza all'idealizzazione che falsa il giudizio, dove l’Io diventa sempre meno esigente, più umile, mentre l’oggetto sempre più magnifico, più prezioso, fino ad impossessarsi da ultimo dell’intero amore che l’Io ha per sé, di modo che, quale conseguenza naturale, si ha l’autosacrificio dell’Io in cui l’oggetto divora l’Io. 

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